E' il momento del "Raw Wine"
- KB Knowledge
- 4 set 2017
- Tempo di lettura: 2 min
Nei locali cult del mondo si beve e si parla di raw wine, concetto che va oltre il biologico. Parliamo di un movimento enologico e culturale che coinvolge una nuova generazione di vignaioli e bevitori.
Basta con i solfiti, con l’omologazione dei vitigni, con chi vendemmia ogni anno anche se le annate sono pessime, con chi piega i vitigni alle regole di mercato. I raw wine (vini vivi) nascono da produttori quasi sempre piccoli, con storie uniche.
Seguono i dettami biologici in vigna e praticano l’assoluta astensione da chimica e additivi. L’aspetto organolettico e salutistico di questi vini conta molto, ma forse ancora di più l’atteggiamento di questi vignaioli indipendenti, caparbi, spesso refrattari a ogni regolamentazione e definizione. Non è un caso che questi vini non abbiamo un vero disciplinare.
In questo momento i raw wine vanno fortissimo, non c’è ristorante stellato o enoteca che non ne abbia in cantina. Gli esperti del settore apprezzano questo tipo di vini per la loro genuinità e per il fatto che ogni anno sono diversi, molto più dei vini convenzionali. Inoltre si sposano bene con il concetto di cucina naturale. Anche i consumatori li richiedono e soprattutto amano ascoltare le storie uniche (a volte eroiche) di questi vini, fatti da gente che vuole valorizzare il territorio, rispettandolo.
Ecco alcuni esempi nostrani: il pioniere goriziano Stanislao Radikon, Marco Buratti di La Farnea, Gianmarco Antonuzi di Le Coste, i lambruschi del Podere Cipolla, Fattoria La Maliosa in Maremma. Potete provarli a Milano, nel nuovo «Champagne Socialist», appena lanciato dai fondatori del Botanical Club. L’insegna (espressione inglese equivalente a radical chic) offre circa 400 etichette, (anche da Francia e Spagna) unicamente raw wine accompagnati da specialità in scatola provenienti dal Portogallo e Galizia. Gli Champagne socialist che bevono naturale saranno forse i nuovi hipster?

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