I consumatori diventano "politici" e i brand prendono posizione
- KB Knowledge
- 21 mar 2017
- Tempo di lettura: 1 min
I brand sono diventati mediatori del nostro (pseudo) impegno politico. La nuova formula magica del marketing è l’indignazione e l’attivismo.
I consumatori di oggi sono immersi nella politica come non mai e stanno guardando con attenzione le posizioni delle aziende sulle questioni politiche attuali. Dopo i matrimoni gay e Brexit, è l’amministrazione Trump che sta mobilitando i brand. L’Ad di Starbucks ha annunciato che assumerà 10 mila rifugiati in 5 anni; il fondatore di Airbnb ha dichiarato su Facebook di offrire alloggi gratuiti ai rifugiati o a chiunque non riesca a rientrare negli Usa. La lista prosegue con Apple, Netflix, la birra Budweiser e tanti altri brand che si sono schierati contro Donald Trump. La tesi di molti – l’ultimo a esprimersi in questo senso è stato Alex Holder sul Guardian – è che la nuova formula magica del marketing sia l’attivismo. E la tesi, sfrontata ma del tutto sensata, è che queste strategie delle grandi aziende, spesso colossi internazionali ma non solo, ci consentano di dare forma e sostanza alla nostra indignazione da tastiera e di autoconfortarci senza dovere sacrificare alcunché. Così noi quando compriamo e scegliamo i brand, possiamo dare immediata azione alla nostra etica incarnandola nell’uno o nell’altro brand.
L’attivismo è divenuto in questi ultimissimi anni, e lo diventerà sempre di più, materia per vendere. Perché orienta flussi di consumatori – non tutti, ovvio, e forse perfino minoranze ma grandi minoranze transazionali facendo leva sull’assunto «se un brand può consentirmi di vivere come desidero e al contempo di alimentare la mia coscienza sociale allora può avere i miei soldi».

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